Le campagne con obiettivo interazione sono tra quelle più usate da tutti gli advertiser e sono sicuramente le più usate – a volte le uniche – da parte di chi è meno esperto-a.
Questa tipologia di campagna pubblicitaria è però un’arma a doppio taglio che può rivelarsi pericolosa, specialmente per chi lavora nel sociale e per chi comunica un messaggio scomodo o comunque non condiviso all’unanimità.
Ti sei mai trovata-o in una di queste situazioni?
- campagna che spende tutto il tuo budget ma ricevi solo like e nessun commento (anche se il post aveva una chiara call to action “commenta!”)
- campagna che riceve tanti commenti negativi o sgradevoli
- campagne che sembra colpire persone fuori dal pubblico target che avevi scelto
Sono situazioni comuni. Non è sempre facile individuare il motivo, ma quello che ti spiego qui è la prima cosa che dovresti fare per provare ad aggiustare le cose.
Come funziona l’algoritmo delle campagne pubblicitarie Facebook
Il meccanismo di base lo conosci: scegli un pubblico target formato dalle persone a cui ti vuoi rivolgere – aiutandoti magari con sesso, età e interessi -, decidi quanto vuoi spendere, scrivi un post e avvii la sponsorizzazione. Da quel momento, Facebook (ma anche Instagram) comincia a mostrare il tuo post alle persone che fanno parte di quel pubblico selezionato da te, ma non a tutto! Eh, no: a meno che tu non abbia a disposizione un budget molto alto, ti assicuro che sarà molto, molto difficile raggiungere tutte le persone che fanno parte di quel pubblico.
Scommetto che hai sponsorizzato tante volte un post con 10 € e hai selezionato un pubblico di 50.000 persone. Ma con 10 €, molto probabilmente, ne hai raggiunte solo 5.000. E chi ti dice che quelle 5.000 siano le più in target? Chi ti dice che siano interessate al tuo messaggio?
(Se non sei consapevole di quanto sia numeroso il tuo pubblico, allora sarebbe meglio ripartire dalle basi)
È ora di capire come funziona l’algoritmo. Non è troppo complicato ed è un fattore fondamentale da conoscere se non vuoi buttare altri soldi in campagne che non portano risultati.
Chiediamoci dunque: con quale criterio Facebook sceglie un gruppetto di 5.000 persone rispetto alle 100.000 che gli ho indicato io in fase di selezione pubblico?
La risposta è una combinazione di due fattori:
1. la pertinenza rispetto a chi interagisce
2. la rilevanza del profilo utente che vede il tuo post
Quando il tuo post comincia a essere distribuito, Facebook sceglie un gruppo di utenti a caso del tuo pubblico e mostra loro il post. Se questi interagiscono (o comunque se compiono l’azione prevista dall’obiettivo della tua campagna), lo mostrerà ad altri utenti simili. Ma non solo: se non hai impostato il bidding manuale, ovvero se hai detto a Facebook di ottimizzare la campagna per poter ricevere più interazioni possibili al costo minore, lui cercherà di farti spendere tutti i tuoi soldi indipendentemente dalle persone che interagiscono.
Il fatto è che sui social network ci sono utenti di serie A e utenti di serie B (e, fammelo dire, questo è forse l’unico posto in cui è giusto avere questa disparità!).
Rilevanza e pertinenza dell’utente
Un utente di serie A è quello che si comporta come me, o come te (spero): ha un nome vero, una foto profilo, ha una rete di amicizie, pubblica post, mette like agli amici e/o alle pagine, commenta, clicca sui link, invia messaggi.
Un utente di serie B è quello che interagisce poco oppure sempre e solo con le stesse azioni (per esempio mettendo solo dei like ma non cliccando mai nessun link). È anche quello dal cui profilo non escono contenuti e informazioni utili a identificarlo.
Molto spesso dietro un utente di serie B ci sono persone residenti in paesi poveri, iscritti tramite delle piattaforme che pagano le loro azioni: per ogni like o commento che mettono, vengono pagati. Poco, eh, davvero poco. Ma per qualcuno può essere necessario anche quel poco.
L’altra tipologia classica di utente di serie B è il profilo fake: quello che certe persone si fanno solo per poter curiosare nelle bacheche degli altri, senza condividere informazioni personali né contenuti spontanei.
Come si riflette questo sulla scelta del tuo pubblico? Semplice: se dai a Facebook un bacino di pubblico enorme rispetto al tuo budget e gli dici “Fammi avere tutte le interazioni possibili”, non avrai quasi mai dei risultati da serie A, perché ci sono altri inserzionisti che sono disposti a spendere molto di più di te per raggiungere quegli utenti.
Dico quasi mai perché in realtà, se hai uno storico di campagne, e se fai del buon retargeting su un pubblico già ben profilato, puoi avere ottimi risultati anche con poco budget.
Questo è il fattore rilevanza.
La pertinenza invece ha a che far con le azioni che un utente compie più spesso: se l’obiettivo della tua campagna è portare traffico sul tuo sito, Facebook cercherà di mostrare le tue inserzioni alle persone che abitualmente cliccano sui link; se l’obiettivo è ottenere messaggi, Facebook andrà a cercare quelle persone che avviano spesso conversazioni con le pagine. E così via.
Ora mettiamo insieme i due fattori che ti ho indicato sopra, la pertinenza e la rilevanza, in una campagna con obiettivo interazione. Se il tuo pubblico è troppo ampio rispetto al budget, e non è ben profilato, sarà molto facile ricevere tante interazioni (perché Facebook insegue la pertinenza con l’obiettivo della campagna) che però si rivelano poco utili (ad esempio solo like) o, ancor peggio, negative (commenti sgradevoli o fuori luogo).
Per questo motivo è molto importante monitorare tutte le interazioni ricevute sui post, soprattutto nelle prime ore o nei primi giorni (a seconda del budget investito): se ti accorgi che non arriva quello che speravi, significa che Facebook non lo sta mostrando alle persone giuste.
Come si risolve il problema?
Prima di tutto lasciami dire che avresti dovuto pensarci in partenza: la scelta del pubblico è la fase più delicata nella creazione di una campagna, a volte ancora di più del testo scritto nel post o dell’immagine usata. Ci sono grandezze di pubblico adatte a determinati budget, e ci sono anche dei modi per scegliere persone altamente interessate ai tuoi contenuti, anziché persone vagamente interessate.
Se non sai come fare per scegliere il pubblico e vuoi una guida come questa che ti aiuti in questa fase fondamentale, scrivimi e ti accontenterò.
A campagna già iniziata, se hai ancora un po’ di budget da spendere, puoi provare modificando le impostazioni in due modi:
- agendo sul bid, ovvero su quanto sei disposta-o a pagare per ogni azione ottenuta
- cambiando qualche caratteristica del pubblico
La prima opzione è piuttosto delicata: se non sei pratica-o del bid (che altro non è che l’offerta che fai a Facebook per raggiungere il tuo obiettivo) è meglio lasciarla perdere. Oppure, se hai sufficiente budget da investire, prova a fare qualche test e vedi se i risultati migliorano aumentando la tua offerta.
La seconda opzione invece è meno delicata dal punto di vista tecnico, ma lo è maggiormente dal punto di vista etico. Non posso fare altro che farti un esempio reale.
Caso studio: i commenti d’odio sopra i post di Senza Violenza
Ora ti spiego come ho fatto io per aggiustare delle campagne di questo tipo, mentre lavoravo con Senza Violenza.
Brevissima presentazione del cliente: Senza Violenza è un centro di ascolto e di aiuto per uomini che usano violenza nelle relazioni affettive, un progetto a cui ho lavorato insieme a Comunicattive nel 2019. L’obiettivo era far conoscere il centro, tramite la diffusione di una campagna pubblicitaria studiata ad hoc e veicolata – anche – su Facebook.
Il target da colpire erano uomini tra i 36 e i 50 anni di età, residenti a Bologna e provincia, senza altre caratteristiche specifiche. Se conosci un po’ le statistiche, saprai che l’identikit dell’uomo violento è molto comune: sposato o single, di cittadinanza italiana, lavoratore. Praticamente chiunque, no? Inoltre le informazioni da parte del centro ci dicevano che bisognava colpire uomini che hanno già una consapevolezza di sé e delle tipologie di violenza che si possono attuare; chi non si rende nemmeno lontanamente conto di cosa sta facendo, non è certo l’uomo che chiede aiuto a un centro di ascolto.
Ma come faccio a trovare “uomini con consapevolezza di sé” ? Praticamente, era come pescare un ago in un pagliaio.
Dopo pochissimi giorni dall’inizio della campagna, sono arrivati i primi commenti sgradevoli. Il mio obiettivo era ottenere dei clic sul link, ma questi non arrivavano oppure arrivavano ma il post si portava dietro questi commenti che, tra l’altro, mettevano a rischio tutta le portata della campagna nella sua interezza.
Prova a immaginare di essere una persona che agisce violenza, e che in cuor suo lo sa ma vorrebbe cambiare: come ti sentiresti se sotto quel post ci fossero persone che dicono
“È una congiura contro gli uomini”
“Perché non esiste un centro che aiuti la donne a non essere pazze?”
“Fate sessismo al contrario: mica solo gli uomini sono violenti”
In una situazione delicata come quella di un uomo che riconosce un suo comportamento, ma non è del tutto sicuro che sia lui in prima persona a doversi fare aiutare, questi commenti l’avrebbero immediatamente allontanato, facendolo ricadere nella diffusa convinzione che la causa di un gesto violento è la donna.
Prima di tutto ho interrotto la distribuzione di quel post nella campagna.
Poi ho eliminato – o meglio nascosto – i commenti fuori luogo: il post era stato condiviso quindi, anche senza essere spinto dalla campagna, avrebbe continuato a girare e si sarebbe portato dietro quei commenti.
Infine ho optato per la 2° opzione che ti ho indicato sopra: ho cambiato qualcosa del pubblico. In questo caso, naturalmente, avevo budget sufficiente per aggiustare il tiro: se avessi già speso il 70% del mio budget, non sarebbe servito a molto cambiare il pubblico.
Cosa ho cambiato? Ho scelto di includere nel pubblico solo persone laureate.
A prima vista potrebbe essere classista, e forse lo è, ma a fronte di qualche ragionamento era un’opzione realistica per trovare “persone che hanno consapevolezza di sé”. Questo non è un dato da prendere come un dogma: non significa che tutte le persone che hanno studiato siano mature emotivamente (e viceversa). È solo un modo per direzionare la scelta – inizialmente casuale – di Facebook verso una tipologia di persone che, con qualche probabilità, avrebbe avuto meno interesse a fare con leggerezza dei commenti sgradevoli.
Quando si lavora coi numeri, bisogna fare delle scelte. A volte queste scelte sembrano andare in contrasto con quelli che sono i principi del nostro messaggio sociale, ma l’importante è essere realisti-e sugli obiettivi. Cosa voglio ottenere? Chi me lo può dare? Se ho la possibilità di raggiungere un numero limitato di persone, scelgo quelle che più probabilmente mi ascolteranno oppure quelle che mi vedono solo come un nemico?
I risultati della campagna.
Se io avessi lasciato andare la campagna senza nessun cambiamento, per il principio della pertinenza Facebook avrebbe continuato a mostrarla a persone simili a queste prime che avevano commentato. Col risultato di ritrovarmi in una shit storm impossibile da gestire, proprio sotto un post che avrebbe dovuto fornire un aiuto concreto.
Il risultato di questo specifico cambiamento tattico, è stato raggiungere persone diverse diverse da quei commentatori precoci. Nello specifico, ho trovato sempre meno commentatori e sempre più persone che, in silenzio, cliccavano sul link per informarsi sul centro.
Così, dopo un po’ di giorni di assestamento, sono riuscita a creare un pubblico target profilato, che ho poi usato per costruire pubblici simili più ampi da dare in pasto a Facebook e veicolare ancora di più la campagna pubblicitaria.
2 Maggio 2020
Commenti negativi e persone non in target
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Le campagne con obiettivo interazione sono tra quelle più usate da tutti gli advertiser e sono sicuramente le più usate – a volte le uniche – da parte di chi è meno esperto-a.
Questa tipologia di campagna pubblicitaria è però un’arma a doppio taglio che può rivelarsi pericolosa, specialmente per chi lavora nel sociale e per chi comunica un messaggio scomodo o comunque non condiviso all’unanimità.
Ti sei mai trovata-o in una di queste situazioni?
Sono situazioni comuni. Non è sempre facile individuare il motivo, ma quello che ti spiego qui è la prima cosa che dovresti fare per provare ad aggiustare le cose.
Come funziona l’algoritmo delle campagne pubblicitarie Facebook
Il meccanismo di base lo conosci: scegli un pubblico target formato dalle persone a cui ti vuoi rivolgere – aiutandoti magari con sesso, età e interessi -, decidi quanto vuoi spendere, scrivi un post e avvii la sponsorizzazione. Da quel momento, Facebook (ma anche Instagram) comincia a mostrare il tuo post alle persone che fanno parte di quel pubblico selezionato da te, ma non a tutto! Eh, no: a meno che tu non abbia a disposizione un budget molto alto, ti assicuro che sarà molto, molto difficile raggiungere tutte le persone che fanno parte di quel pubblico.
Scommetto che hai sponsorizzato tante volte un post con 10 € e hai selezionato un pubblico di 50.000 persone. Ma con 10 €, molto probabilmente, ne hai raggiunte solo 5.000. E chi ti dice che quelle 5.000 siano le più in target? Chi ti dice che siano interessate al tuo messaggio?
(Se non sei consapevole di quanto sia numeroso il tuo pubblico, allora sarebbe meglio ripartire dalle basi)
È ora di capire come funziona l’algoritmo. Non è troppo complicato ed è un fattore fondamentale da conoscere se non vuoi buttare altri soldi in campagne che non portano risultati.
Chiediamoci dunque: con quale criterio Facebook sceglie un gruppetto di 5.000 persone rispetto alle 100.000 che gli ho indicato io in fase di selezione pubblico?
La risposta è una combinazione di due fattori:
1. la pertinenza rispetto a chi interagisce
2. la rilevanza del profilo utente che vede il tuo post
Quando il tuo post comincia a essere distribuito, Facebook sceglie un gruppo di utenti a caso del tuo pubblico e mostra loro il post. Se questi interagiscono (o comunque se compiono l’azione prevista dall’obiettivo della tua campagna), lo mostrerà ad altri utenti simili. Ma non solo: se non hai impostato il bidding manuale, ovvero se hai detto a Facebook di ottimizzare la campagna per poter ricevere più interazioni possibili al costo minore, lui cercherà di farti spendere tutti i tuoi soldi indipendentemente dalle persone che interagiscono.
Il fatto è che sui social network ci sono utenti di serie A e utenti di serie B (e, fammelo dire, questo è forse l’unico posto in cui è giusto avere questa disparità!).
Rilevanza e pertinenza dell’utente
Un utente di serie A è quello che si comporta come me, o come te (spero): ha un nome vero, una foto profilo, ha una rete di amicizie, pubblica post, mette like agli amici e/o alle pagine, commenta, clicca sui link, invia messaggi.
Un utente di serie B è quello che interagisce poco oppure sempre e solo con le stesse azioni (per esempio mettendo solo dei like ma non cliccando mai nessun link). È anche quello dal cui profilo non escono contenuti e informazioni utili a identificarlo.
Molto spesso dietro un utente di serie B ci sono persone residenti in paesi poveri, iscritti tramite delle piattaforme che pagano le loro azioni: per ogni like o commento che mettono, vengono pagati. Poco, eh, davvero poco. Ma per qualcuno può essere necessario anche quel poco.
L’altra tipologia classica di utente di serie B è il profilo fake: quello che certe persone si fanno solo per poter curiosare nelle bacheche degli altri, senza condividere informazioni personali né contenuti spontanei.
Come si riflette questo sulla scelta del tuo pubblico? Semplice: se dai a Facebook un bacino di pubblico enorme rispetto al tuo budget e gli dici “Fammi avere tutte le interazioni possibili”, non avrai quasi mai dei risultati da serie A, perché ci sono altri inserzionisti che sono disposti a spendere molto di più di te per raggiungere quegli utenti.
Dico quasi mai perché in realtà, se hai uno storico di campagne, e se fai del buon retargeting su un pubblico già ben profilato, puoi avere ottimi risultati anche con poco budget.
Questo è il fattore rilevanza.
La pertinenza invece ha a che far con le azioni che un utente compie più spesso: se l’obiettivo della tua campagna è portare traffico sul tuo sito, Facebook cercherà di mostrare le tue inserzioni alle persone che abitualmente cliccano sui link; se l’obiettivo è ottenere messaggi, Facebook andrà a cercare quelle persone che avviano spesso conversazioni con le pagine. E così via.
Ora mettiamo insieme i due fattori che ti ho indicato sopra, la pertinenza e la rilevanza, in una campagna con obiettivo interazione. Se il tuo pubblico è troppo ampio rispetto al budget, e non è ben profilato, sarà molto facile ricevere tante interazioni (perché Facebook insegue la pertinenza con l’obiettivo della campagna) che però si rivelano poco utili (ad esempio solo like) o, ancor peggio, negative (commenti sgradevoli o fuori luogo).
Per questo motivo è molto importante monitorare tutte le interazioni ricevute sui post, soprattutto nelle prime ore o nei primi giorni (a seconda del budget investito): se ti accorgi che non arriva quello che speravi, significa che Facebook non lo sta mostrando alle persone giuste.
Come si risolve il problema?
Prima di tutto lasciami dire che avresti dovuto pensarci in partenza: la scelta del pubblico è la fase più delicata nella creazione di una campagna, a volte ancora di più del testo scritto nel post o dell’immagine usata. Ci sono grandezze di pubblico adatte a determinati budget, e ci sono anche dei modi per scegliere persone altamente interessate ai tuoi contenuti, anziché persone vagamente interessate.
Se non sai come fare per scegliere il pubblico e vuoi una guida come questa che ti aiuti in questa fase fondamentale, scrivimi e ti accontenterò.
A campagna già iniziata, se hai ancora un po’ di budget da spendere, puoi provare modificando le impostazioni in due modi:
La prima opzione è piuttosto delicata: se non sei pratica-o del bid (che altro non è che l’offerta che fai a Facebook per raggiungere il tuo obiettivo) è meglio lasciarla perdere. Oppure, se hai sufficiente budget da investire, prova a fare qualche test e vedi se i risultati migliorano aumentando la tua offerta.
La seconda opzione invece è meno delicata dal punto di vista tecnico, ma lo è maggiormente dal punto di vista etico. Non posso fare altro che farti un esempio reale.
Caso studio: i commenti d’odio sopra i post di Senza Violenza
Ora ti spiego come ho fatto io per aggiustare delle campagne di questo tipo, mentre lavoravo con Senza Violenza.
Brevissima presentazione del cliente: Senza Violenza è un centro di ascolto e di aiuto per uomini che usano violenza nelle relazioni affettive, un progetto a cui ho lavorato insieme a Comunicattive nel 2019. L’obiettivo era far conoscere il centro, tramite la diffusione di una campagna pubblicitaria studiata ad hoc e veicolata – anche – su Facebook.
Il target da colpire erano uomini tra i 36 e i 50 anni di età, residenti a Bologna e provincia, senza altre caratteristiche specifiche. Se conosci un po’ le statistiche, saprai che l’identikit dell’uomo violento è molto comune: sposato o single, di cittadinanza italiana, lavoratore. Praticamente chiunque, no? Inoltre le informazioni da parte del centro ci dicevano che bisognava colpire uomini che hanno già una consapevolezza di sé e delle tipologie di violenza che si possono attuare; chi non si rende nemmeno lontanamente conto di cosa sta facendo, non è certo l’uomo che chiede aiuto a un centro di ascolto.
Ma come faccio a trovare “uomini con consapevolezza di sé” ? Praticamente, era come pescare un ago in un pagliaio.
Dopo pochissimi giorni dall’inizio della campagna, sono arrivati i primi commenti sgradevoli. Il mio obiettivo era ottenere dei clic sul link, ma questi non arrivavano oppure arrivavano ma il post si portava dietro questi commenti che, tra l’altro, mettevano a rischio tutta le portata della campagna nella sua interezza.
Prova a immaginare di essere una persona che agisce violenza, e che in cuor suo lo sa ma vorrebbe cambiare: come ti sentiresti se sotto quel post ci fossero persone che dicono
In una situazione delicata come quella di un uomo che riconosce un suo comportamento, ma non è del tutto sicuro che sia lui in prima persona a doversi fare aiutare, questi commenti l’avrebbero immediatamente allontanato, facendolo ricadere nella diffusa convinzione che la causa di un gesto violento è la donna.
Prima di tutto ho interrotto la distribuzione di quel post nella campagna.
Poi ho eliminato – o meglio nascosto – i commenti fuori luogo: il post era stato condiviso quindi, anche senza essere spinto dalla campagna, avrebbe continuato a girare e si sarebbe portato dietro quei commenti.
Infine ho optato per la 2° opzione che ti ho indicato sopra: ho cambiato qualcosa del pubblico. In questo caso, naturalmente, avevo budget sufficiente per aggiustare il tiro: se avessi già speso il 70% del mio budget, non sarebbe servito a molto cambiare il pubblico.
Cosa ho cambiato? Ho scelto di includere nel pubblico solo persone laureate.
A prima vista potrebbe essere classista, e forse lo è, ma a fronte di qualche ragionamento era un’opzione realistica per trovare “persone che hanno consapevolezza di sé”. Questo non è un dato da prendere come un dogma: non significa che tutte le persone che hanno studiato siano mature emotivamente (e viceversa). È solo un modo per direzionare la scelta – inizialmente casuale – di Facebook verso una tipologia di persone che, con qualche probabilità, avrebbe avuto meno interesse a fare con leggerezza dei commenti sgradevoli.
Quando si lavora coi numeri, bisogna fare delle scelte. A volte queste scelte sembrano andare in contrasto con quelli che sono i principi del nostro messaggio sociale, ma l’importante è essere realisti-e sugli obiettivi. Cosa voglio ottenere? Chi me lo può dare? Se ho la possibilità di raggiungere un numero limitato di persone, scelgo quelle che più probabilmente mi ascolteranno oppure quelle che mi vedono solo come un nemico?
I risultati della campagna.
Se io avessi lasciato andare la campagna senza nessun cambiamento, per il principio della pertinenza Facebook avrebbe continuato a mostrarla a persone simili a queste prime che avevano commentato. Col risultato di ritrovarmi in una shit storm impossibile da gestire, proprio sotto un post che avrebbe dovuto fornire un aiuto concreto.
Il risultato di questo specifico cambiamento tattico, è stato raggiungere persone diverse diverse da quei commentatori precoci. Nello specifico, ho trovato sempre meno commentatori e sempre più persone che, in silenzio, cliccavano sul link per informarsi sul centro.
Così, dopo un po’ di giorni di assestamento, sono riuscita a creare un pubblico target profilato, che ho poi usato per costruire pubblici simili più ampi da dare in pasto a Facebook e veicolare ancora di più la campagna pubblicitaria.
Su di me
Sono Antonia e la mia passione è la comunicazione sociale. In questo blog condivido alcune cose che ho imparato e che possono essere utili al terzo settore ma anche alle aziende che vogliono sviluppare un messaggio sociale.
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